Publisher's Synopsis
Eh già, cinquant'anni sono trascorsi da quel 1° giugno del 1970, quando a Milano, all'età di 82 anni, si spegneva un poeta straordinario e mirabile, allegro e pensoso, dagli occhi energizzanti e comunicativi come pochi altri: mi riferisco evidentemente a Giuseppe Ungaretti (1888-1970). Una data importante che quest'anno, com'è ampiamente noto, segna un anniversario che ha destato, a ragione, molta attenzione. Cinquant'anni fa i suoi funerali vennero tuttavia celebrati a Roma, ed è qui infatti che egli riposa, nel Cimitero del Verano. Giuseppe Ungaretti dunque: un uomo, un poeta, che piaceva ai giovani, che lo amavano, che di lui apprezzavano il linguaggio innovativo e moderno. Lui, che dai dolori e dalle sofferenze della guerra di trincea, la Prima guerra mondiale, aveva imparato il senso vero della vita, dell'esistenza in tutta la sua essenzialità e cruda finitezza; un valore aggiunto, diremmo oggi, che, come un faro nella notte, lo ha guidato sulle ali dei suoi versi poetici, intensi e pregni altresì di una rara vitalità, a dispetto di tutto. Sì, a dispetto del destino avverso e contrario, a dispetto della crudeltà della guerra e dell'effetto domino da essa alimentato e innescato a cascata nei comportamenti e negli atteggiamenti dell'animo umano. Una vitalità, nonostante tutto ciò, che si traduce e cristallizza in quei due versi indimenticabili che tutti voi/noi conoscete e ricorderete bene: "mi illumino/d'immenso". I versi di "Mattina", composti nel lontano 1917, nel buio delle trincee del Carso...