Publisher's Synopsis
La prima e più general forma del mito è dunque una similitudine fra una cosa lontana, o men nota, ed una cosa più vicina, e più nota. Certo, l'uomo dovette conoscere il cavallo, il cane, il bove, il serpente sopra la terra prima di collocarlo nel cielo. Ma il mito elementare nasce soltanto da questo trasporto di figure da un mondo prossimo ad un mondo lontano. A questo scambio d'immagini fra la terra ed il cielo poté pure concorrere, per molta parte, l'equivoco del linguaggio. In sanscrito, il cavallo è chiamato açva. Etimologicamente, la parola dovrebbe valere il penetrante, il rapido. Diminuita la coscienza etimologica del linguaggio, e dai qualificativi formatisi gli appellativi, molti rapidi divennero cavalli. E poichè açva, in origine, non solo significò probabilmente, come aggettivo, rapido, ma forse pure come neutro, la rapidità l'açvin che dovea originariamente esprimere il fornito di rapidità, ossia il rapido, poichè açva riuscì solamente più il cavallo, l'açvin diveniva il cavaliere. E poichè nel cielo vi sono due corridori, il sole e la luna, dei quali il primo è posto in relazione col crepuscolo del mattino, il secondo con quello della sera, s'immaginarono i due cavalieri, gli Açvinâu, i quali negli Inni vedici sono celebrati per avere vinta la corsa. Il crepuscolo preannunzia il giorno e la notte; è perciò il primo ad arrivare al segno, a toccare il limite del cielo, a vincere la corsa. L'equivoco del linguaggio può aver qui non solo giovato a creare il mito, ma ancora a distenderlo, con l'immagine che si produsse del cavaliere, sopra quella preesistente, come pare, del semplice corridore, dell'açva. La mitologia senza lo studio delle lingue antiche male si spiega; e non è troppo grande ardimento il soggiungere che essa alla sua volta ci spiega una parte, una piccola parte, senza dubbio, del linguaggio figurato popolare, specialmente di quello conservato in alcuni proverbi, nei quali mi sembra avere riconosciuto un significato mitico. So che ai sudanti raccoglitori di proverbi muove un olimpico riso questa invasione dei miti nella interpretazione di certi proverbi, che, del resto, essi confessano di non sapere altrimenti spiegare; ed alcuno di essi mi dà già voce di voler di ogni proverbio foggiarmi un mito. E pure io era stato molto sollecito a dichiarare che il numero dei proverbi mitici è ristrettissimo, come sono molto scarse nei viventi linguaggi le parole di significato mitico. Ma se i proverbi mitici sono pochi, quei pochi non vogliono essere negletti, e meritano che sopra di essi si raccolga l'attenzione degli studiosi. Nè chiamando mitico un proverbio, presumo poi necessariamente che la sua origine sia sempre asiatica od almeno antichissima. Poichè io non nego punto la possibilità che qualche nuova forma mitica si manifesti ancora di tempo in tempo sporadicamente nel linguaggio popolare. Io potrei moltiplicare simili esempi; ma spero che questi bastino a persuadervi come il primo campo mitico sia il cielo, le prime figure mitiche siano i fenomeni celesti, le prime informatrici dei miti siano le similitudini del linguaggio popolare. Per dirvi, oggi, l'ultima mia eresia, io credo capaci d'ideale, ossia potenti di progresso quei soli popoli che hanno un senso vivo della realtà, la quale è per sè tutta poetica e vivificante, quando si comprenda nella piena e perfetta armonia che governa la vita, quando nel ricordare il passato l'uomo viva del presente e prepari pure l'avvenire, assecondando così la natura che non fa altro se non conservarsi svolgendosi ed ampliandosi. L'uomo antico ha spiegata nei suoi miti celesti la poesia ch'egli aveva chiusa come germe in sè; l'uomo moderno deve entrare in gara generosa con gli Dei suscitati dalla immaginazione poetica dei nostri avi, e, nuovo e stupendo artefice, mirare a produrre il divino nella vita.